È uno dei tormentoni salutisti: l’attività fisica fa bene, un po’ a tutto, non solo all’apparato muscolo-scheletrico. Previene il cancro, rallenta l’invecchiamento del cervello, migliora le capacità cognitive e l’umore. E ora si scopre che può anche favorire il recupero delle funzioni visive in chi soffre di ambliopia, il cosiddetto “occhio pigro”. Ad aprire nuovi, insperati scenari di trattamento per questo disturbo visivo è uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori italiani sulla rivista Annals of Clinical and Translational Neurology.
Cos’è l’ambliopia o occhio pigro
L’ambliopia o “occhio pigro” è un disturbo che si sviluppa in età giovanile, a partire da uno sbilanciamento dell’attività dei due occhi. I fattori possono essere diversi: forti differenze nel potere refrattivo dei due occhi (anisometropia), opacizzazioni della cornea, strabismo, cataratta congenita. La conseguenza è una marcata riduzione delle capacità visive, in particolare dell’acuità visiva e della stereopsi (visione della profondità). E’ trattabile nei bambini prima degli otto-nove anni, generalmente, con lunghi periodi di occlusione dell’occhio sano, per contrastarne la predominanza e favorire l’uso dell’occhio pigro. Ma non funziona nell’adulto, per la ridotta plasticità cerebrale del cervello maturo.
Plasticità visiva anche negli adulti
Gli esperimenti condotti da Claudia Lunghi (ex-ricercatrice dell’Università di Pisa, ora all’École Normale Supérieure di Parigi) in collaborazione con colleghi dell’ateneo e del Cnr pisani, hanno dimostrato che è possibile ottenere un marcato miglioramento delle funzioni visive anche in adulti affetti da ambliopia.
“Con studi su modelli animali avevamo mostrato che l’attività fisica potenzia la plasticità cerebrale, ossia la capacità dei circuiti del cervello di cambiare struttura e funzione in risposta agli stimoli ambientali”, dice un altro autore del paper, Alessandro Sale, dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Pisa. “Altri studi hanno inoltre evidenziato che nei soggetti umani la plasticità visiva si mantiene anche negli individui adulti e agisce su tempi brevi”, racconta Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa, anch’essa coinvolta nella ricerca. “La chiusura temporanea di uno o dei due occhi”, va avanti la ricercatrice, “porta al miglioramento della percezione visiva in quell’occhio”. Il nuovo studio ha dimostrato che anche questo tipo di plasticità visiva, definita omeostatica, si potenzia in risposta all’attività fisica volontaria nelle persone sane, migliorando in modo permanente la visione dell’occhio pigro.
Pedalando con un occhio solo
Nell’esperimento, si è sperimentata una strategia controintuitiva: per tre giorni consecutivi, dieci persone con il disturbo dell’”occhio pigro” hanno trascorso un breve periodo di deprivazione della visione dell’occhio ambliope: stando seduti di fronte a un televisore, hanno guardato un film alternando dieci minuti di pedalata alla cyclette con dieci minuti di riposo, per tre ore complessive. La sessione è stata ripetuta per altre tre settimane, riducendo il numero di giorni di trattamento per settimana da tre a uno. Ai soggetti di controllo è stata invece somministrata la deprivazione senza l’uso simultaneo della cyclette, quindi senza attività fisica.
Questo esercizio ha funzionato: “Quanti svolgevano attività motoria hanno mostrato un marcato recupero dell’acuità visiva e della stereopsi, effetto che si è mantenuto nel tempo ed è risultato presente anche dodici mesi dopo la fine del trattamento. I soggetti di controllo, invece, hanno evidenziato solo livelli di recupero trascurabili”, spiegano gli autori dello studio.
Nuove prospettive per l’occhio ambliope
La possibilità di utilizzare i benefici dell’attività fisica per favorire il recupero delle funzioni visive in soggetti con il disturbo dell’occhio pigro non è l’unica novità della ricerca. “Abbiamo dimostrato che la chiusura dell’occhio ambliope è una strategia efficace per favorirne il recupero”, dice Sale. “Il paradigma più usato, in questo campo, prevede lunghi periodi di occlusione dell’occhio sano, per contrastarne la predominanza e favorire l’uso dell’occhio pigro. Il lavoro appena pubblicato mostra invece che la chiusura dell’occhio ambliope, se avviene in condizioni che favoriscono la plasticità omeostatica, offre scenari di trattamento insperati e ancora tutti da esplorare, anche se è effettuata per periodi di tempo molto brevi”.
Fonte: galileonet.it